
Di Enrico Buongiovanni
Ho sempre creduto che la felicità non fosse un traguardo, ma un percorso.
Un sentiero fatto di errori, lezioni e risalite.
Nel tempo, ho avuto la fortuna di ascoltare storie incredibili, di raccogliere testimonianze di chi ha visto la felicità come una conquista, spesso raggiunta proprio dopo aver toccato il fondo.
Voglio condividere con voi tre incontri che mi hanno profondamente cambiato, tre interviste che mi hanno insegnato quanto il fallimento possa essere un maestro silenzioso, e come anche nelle situazioni più difficili, la luce possa filtrare dalle crepe.
1 La casa di Donatella: il ritorno a sé stessa
Era una giornata d’autunno, le foglie danzavano leggere fuori dalla finestra mentre un vento timido accarezzava i vetri.
La casa di Donatella aveva un’atmosfera calda, familiare. Il profumo del tè alla cannella riempiva l’aria, e c'erano fotografie ovunque: momenti di vita, viaggi, sorrisi di un passato che sembrava sereno.
Donatella mi ha raccontato del suo crollo emotivo dopo la fine di un matrimonio lungo vent'anni.
Per mesi, aveva smesso di credere nella possibilità di essere felice.
Poi, un giorno, mi ha detto:
"Mi sono guardata allo specchio e ho capito che nessuno sarebbe venuto a salvarmi. Dovevo essere io la mia speranza."
Ha iniziato a piccoli passi: lunghe passeggiate nel parco, un corso di pittura, qualche libro che aveva abbandonato da tempo.
La sua felicità è rinata dalla consapevolezza che non serve avere tutto sotto controllo, ma basta ricominciare ad ascoltarsi.
2 Il carcere: la libertà interiore di Marco
L’eco dei miei passi risuonava lungo il corridoio grigio.
Le sbarre sembravano amplificare ogni rumore, rendendo l’aria pesante, quasi densa.
Eppure, quando ho incontrato Marco, la sua voce era calma, persino serena.
Condannato per errori del passato, Marco ha vissuto anni di rabbia e colpa, convinto che la felicità fosse ormai un miraggio.
Ma durante la nostra chiacchierata, ha pronunciato parole che non dimenticherò mai:
"La felicità non dipende dai muri che ci circondano, ma da come impariamo a guardare dentro di noi. Ho capito che potevo essere libero qui, tra queste mura, solo quando ho
smesso di odiarmi."
Marco aveva trovato la sua pace nella scrittura.
Ogni sera, annotava pensieri, riflessioni, piccole gratitudini.
La felicità, per lui, era diventata un atto di perdono verso sé stesso.
3 Nella zona più povera: la felicità di Aisha
L’ultimo incontro è stato il più forte, forse perché si è svolto in un contesto lontano da ciò che ero abituato.
Mi trovavo in un villaggio remoto, tra strade sterrate e case di fango.
L’aria profumava di terra bagnata e cibo cotto su fuochi aperti.
Aisha mi ha accolto con un sorriso sincero, di quelli che scaldano il cuore.
Viveva con i suoi figli in una casa di due stanze, priva di ogni comodità moderna.
Eppure, mai avevo percepito una serenità così autentica.
"La felicità? È vedere i miei figli crescere, poterli abbracciare ogni sera. È sapere che oggi abbiamo mangiato insieme e che domani ci sveglieremo ancora insieme."
Parlava con una semplicità disarmante, come se la felicità fosse un diritto naturale, e non qualcosa da inseguire con affanno.
Cosa ho imparato da queste tre storie?
Donatella, Marco e Aisha mi hanno insegnato che la felicità non è uno stato di perfezione, ma un processo. È nelle piccole cose, nei momenti di consapevolezza, nel coraggio di affrontare le proprie ferite senza nasconderle.
A volte, dobbiamo perderci per riscoprire il valore di ciò che siamo. Altre, la felicità si manifesta quando smettiamo di cercarla fuori e iniziamo a coltivarla dentro.
Se c'è una cosa che queste tre storie mi hanno insegnato, è che la felicità è resilienza: nasce dalla capacità di cadere, accettare il dolore e trasformarlo in forza.
Perché la vera felicità non è l'assenza di difficoltà, ma la capacità di brillare nonostante esse.
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